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Il port-a-cath

Il Porth-a-cath

port-a-cath

Assai di frequente ci si trova a conversare con il paziente ed i familiari circa l'utilità dell'impianto di un port-a-cath.
Cos'è in effetti? Si tratta di un dispositivo impiantabile nel sottocute con incannulamento di una vena profonda che consente di avere sempre disponibile un accesso venoso centrale. In genere la cannula interna è in silicone ed il serbatoio sottocutaneo in titanio.

Vi si accede bucando la cute con l'ago ed è utilissimo oltre che per l'infusione di chemioterapici, anche per la nutrizione parenterale e l'infusione di sostanze di sostegno. Come si può facilmente comprendere quindi è molto utile anche per i pazienti in fase terminale di malattia.

L'infusione dei chemioterapici sulle vene periferiche può portare danni locali (da stravaso o flebiti) pertanto l'impianto del port-a-cath è assolutamente consigliabile.

L'intervento di posizionamento viene eseguito in anestesia locale, in day-surgery, in poco tempo. Importante è una copertura antibiotica dopo l'intervento poichè viene incisa localmente la cute. Il port-a-cath si trova poi completamente nel sottocute ed all'esterno non è visibile ed evidente. Il taglio per posizionarlo è molto contenuto.

Una corretta gestione del dispositivo limita le possibilità di infezione ed inoltre il lavaggio periodico (con soluzione fisiologica ed eparina) consente di preservarne il funzionamento per tempo praticamente illimitato. In ogni momento è possibile la sua rimozione.

Dr. Carlo Pastore

Trattamento mulimodale dei sarcomi con aggiunta di ipertermia

Trattamento mulimodale dei sarcomi con aggiunta di ipertermia

II sarcomi sono delle neoplasie che originano da ossa, muscoli e tessuto connettivo. Essendo delle neoplasie scarsamente sensibili a chemioterapia e radioterapia, si è sempre ricercato per trovare un valido presidio terapeutico da affiancare alla chirurgia.

Numerosi studi indicano un potenziamento dell’attività dei farmaci antitumorali quando ad essi vengano abbinate delle applicazioni di ipertermia. Di seguito riporto alcuni lavori che testimoniano la bontà di questa metodica.

Dr. Carlo Pastore

Expert Rev Anticancer Ther 2009 Feb; 9(2):199-210
Hyperthermia as an adjunctive treatment for soft-tissue sarcoma.

Anticancer Res. 2008 Sep-Oct;28(5A):2585-93
Molecular mechanisms and gene regulation of melphalan and hyperthermia induced apoptosis in Ewing sarcoma cells.

Curr Opin Oncol 2008 Jul;20(4):438-43
Regional hyperthermia in high-risk soft tissue sarcomas

Curr Oncol Rep 2006 Jul;8(4):305-9
The role of hyperthermia in combined treatment in the management of soft tissue sarcoma




La malattia minima residua

La malattia minima residua

Dopo l’asportazione chirurgica di una massa tumorale occorre valutare l’opportunità di una terapia adiuvante. Tale terapia serve per rifinire il lavoro del chirurgo e combattere quella che viene definita (eventuale) malattia minima residua.
Ma, in pratica, di cosa si tratta? Il chirurgo quando interviene asporta ciò che macroscopicamente vede allargando l’intervento alle strutture più facilmente coinvolte dalla colonizzazione tumorale (in primis linfonodi locoregionali). Come si può essere però sicuri di portar via sino all’ultima microscopica cellula malata?
Si tratta della lotta dello scavatore contro le formiche: con una palata si può esser certi di aver tolto sino all’ultima formica? Analogamente dopo l’operato chirurgico vi possono essere delle cellule residue; dei microfocolai pronti a crescere.
Da qui l’opporunità di un trattamento adiuvante che possa essere effettuato mediante una chemioterapia sistemica, una radioterapia od/ed una ipertermia locoregionale.
Tali trattamenti andrebbero intrapresi entro un mese dall’intervento chirurgico in modo da offrire poco tempo alla crescita delle cellule tumorali eventualmente residue.
Dr. Carlo Pastore
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