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Epatocarcinoma

Epatocarcinoma

Il tumore primitivo del fegato (epatocarcinoma) insorge spesso su stati cirrotici avanzati ed in pazienti affetti da epatite di tipo B o C cronica.

Tali neoplasie si avvalgono in primo luogo nella loro cura di metodiche chirurgiche e trattamenti locoregionali (chemioembolizzazione). Quando i noduli divengono però diffusi in tutto il fegato e non vi è più spazio per le procedure precedentemente elencate è opportuno ricorrere ad un trattamento chemioterapico sistemico.

Sino a qualche tempo fa lo scenario era piuttosto scoraggiante essendo tali neoplasie piuttosto resistenti ai farmaci; oggigiorno l’avvento dei nuovi farmaci a bersaglio molecolare sta mutando lo scenario.

In particolare mi riferisco al sorafenib che si rivela piuttosto efficace nell’arginare tale patologia. Altri farmaci (di vecchia generazione) con una qualche attività che possono essere impiegati sono il 5-Fu, le antracicline (doxorubicina ed epirubicina), la capecitabina.

Importante si rivela in questo caso il potenziamento che può essere fornito dall’ipertermia. Le applicazioni periodiche non solo combattono attivamente la malattia e potenziano l’attività dei farmaci, ma hanno anche la capacità di migliorare la perfusione ematica del fegato e negli stati cirrotici di aiutare l’attività d’organo residua.

La sinergia tra le varie metodiche è fondamentale nel contrastare una severa patologia

Dr. Carlo Pastore

Il microcitoma polmonare

Il microcitoma polmonare

ulivoSi tratta di una delle neoplasie a partenza polmonare dotata di maggiore aggressività. La chirurgia di tale forma tumorale non è praticabile per la sua tendenza a metastatizzare molto precocemente cosa che la fa ritenere una malattia sistemica già dal principio.
Il microcitoma (SCLC) risulta molto sensibile alla chemioterapia ed alla radioterapia (proprio grazie alla elevata cinetica cellulare) e pertanto risponde in genere brillantemente alla prima linea terapeutica. Quando si ottiene una risposta completa (cioè una scomparsa della malattia visibile) si procede ad una profilassi radioterapica sull’encefalo ed a un consolidamento in ambito polmonare.
La problematica vera legata a tale patologia è la sua spiccata tendenza a recidivare (anche dopo una risposta completa radiologica, cioè quando ad una restadiazione dopo trattamento non sono più visibili delle masse). Questo perché residuano microfoci tumorali costituiti da cellule resistenti ai trattamenti impiegati e tali cellule residue tendono alla ricrescita.
E’ possibile a quel punto eseguire dei nuovi trattamenti di seconda linea che però hanno una efficacia minore. Così via nelle varie linee terapeutiche sino ad una efficacia marginale che rende il bilancio rischio/beneficio sfavorevole. Il trattamento standard di prima linea prevede una combinazione cisplatino più etoposide (con una schedula di tre giorni di trattamento consecutivi ripetuti ogni 21 gg). Tali farmaci vengono somministrati per 6 cicli.
Occorre fare attenzione dopo i primi cicli di terapia alla possibile comparsa di una sindrome miasteniforme dovuta alla massiva citolisi tumorale ed alla dismissione in circolo di sostanze disturbanti la conduzione nervosa. Il microcitoma originando da cellule a carattere neuroendocrino spesso presenta una spiccata componente legata al tessuto di origine.
E’ opportuno quindi verificare ciò mediante il dosaggio plasmatici della CgA o mediante un octreoscan (procedura radiologica che consente di verificare se il tumore presenta recettori che possano legare l’octreotide). Qualora fosse presente attivamente una componente neuroendocrina è possibile abbinare l’octreotide alla terapia standard con dei vantaggi nei termini del controllo di malattia.
La seconda linea terapeutica più efficace in tale patologia impiega il topotecan. Non bisogna dimenticare però altri farmaci attivi in questa neoplasia: le antracicline (doxorubicina ed epitubicina), l’irinotecan, il carboplatino, i taxani.
L’ipertermia trova impiego in caso di localizzazioni di malattia documentabili radiologicamente. Si può ottenere un miglioramento della risposta locale ed è consigliabile soprattutto in caso di lesioni “strategiche” ovvero sia che danno problemi compressivi e di dolore. Ovviamente l’effetto sarà maggiore in abbinamento a chemioterapia o radioterapia.

Dr. Carlo Pastore

Le neoplasie prostatiche

Le neoplasie prostatiche

I tumori della prostata rappresentano delle neoplasie piuttosto frequenti nell’età avanzata.
Diagnosi precoce può essere posta anche con la semplice valutazione del PSA dosabile con un banale prelievo di sangue. Questo è uno dei pochi casi in cui un marcatore tumorale può avere un valore diagnostico.
Dopo aver rilevato la presenza della patologia si può seguire la via chirurgica, la via della radioterapia o dell’ormonoterapia. Infatti le cellule che costituiscono tale neoplasia risultano fortemente ormonosensibili e dipendenti dalla presenza degli ormoni sessuali maschili per la loro crescita.
Il blocco androgenico totale costituisce una buona arma nel controllo di malattia. Dopo un tempo variabile di terapia ormonale però invariabilmente compaiono dei cloni cellulari resistenti che risultano svincolati dalla terapia stessa. E’ quindi in quel momento opportuno intraprendere una chemioterapia. Il farmaco più efficace risulta senza dubbio il docetaxel (con schedula settimanale o trisettimanale).
Spesso è anche utile dosare la cromogranina A nel plasma od eseguire un octreoscan poiché facilmente si può riscontrare nel tumore una componente neuroendocrina sensibile a trattamento addizionale con octreotide. Il tumore della prostata metastatizza frequentemente allo scheletro e le lesioni ossee possono essere molto dolorose.
Si può quindi aggiungere una terapia con acido zoledronico che ha il compito di limitare l’assorbimento osseo localmente ed inibire in modo specifico la crescita tumorale nell’osso. Nelle sedi di maggiore dolorabilità è poi utile abbinare l’ipertermia e la radioterapia. Si raggiunge così un buon controllo del dolore.

Dr. Carlo Pastore
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