Assistenza domiciliare del paziente oncologico
Nuove frontiere nella assistenza domiciliare dei pazienti oncologici
L’assistenza domiciliare oncologica è un servizio concepito per dare la possibilità al paziente grave ( in una fase avanzata della malattia o in fase terminale ) di essere assistito direttamente presso il proprio domicilio.
Essa viene, infatti, definita anche “ospedalizzazione a domicilio” poiché fornisce sostegno medico, psicologico e materiale al paziente e ai suoi familiari nel proprio ambiente di vita, garantendo cure palliative e tutti i servizi medico-assistenziali direttamente a domicilio.
Da esperienze personalmente vissute posso, però, affermare che anche un Paziente Oncologico
in fase iniziale può beneficiare delle cure ricevute presso il proprio domicilio, sia in termini psicologici che terapeutici; infatti l’ambiente familiare facilita l’approccio e soprattutto l’accettazione della nuova condizione di salute da parte del Paziente, rendendo meno ostica la somministrazione delle cure stesse.
Visto che è opinione diffusa che fra gli obiettivi perseguiti dal Servizio Sanitario siano incluse l’umanizzazione e la personalizzazione dell’assistenza nei confronti del Paziente, il processo di miglioramento della qualità dell’assistenza stessa non può limitarsi ad affrontare la sola dimensione “oggettiva” ( Aspetto TECNICO-PRATICO ), ma per perseguire un miglioramento della qualità bisogna necessariamente includere elementi di tipo “soggettivo” ( Aspetto RELAZIONALE-PROFESSIONALE ).
L’efficacia e la qualità percepite dal Paziente relativamente all’assistenza ricevuta e la sua conseguente accettazione dipendono molto dalla relazione che si instaura tra la persona malata e l’infermiere. Parlare di relazione infermiere-paziente significa analizzare un processo dinamico con delle caratteristiche ben definite; essa è sicuramente una “relazione di aiuto” in quanto si realizza un contatto (costante) tra due soggetti di cui uno, l’infermiere, che ha come prerogativa una funzione di sostegno e facilitazione rispetto all’altro.
Per meglio inquadrare tale contesto, bisogna ricordare e considerare che:
Il paziente è in una particolare condizione esistenziale psicofisica per cui momentaneamente, per molteplici cause, non riesce a trovare soluzioni efficaci per ottenere una qualità di vita ottimale. L’infermiere è una persona che ha scelto “professionalmente” di fornire un sostegno che possa aiutare il paziente a risolvere la condizione di squilibrio in cui si trova.
E’ proprio dall’interazione tra queste due figure che si sviluppano fattori che determinano da una parte la risoluzione totale o parziale del problema del Paziente, dall’altra la soddisfazione professionale e l’appagamento umano dell’infermiere nello svolgimento del proprio lavoro. Questa relazione assume un’importanza ancor più grande nel Paziente Oncologico che, suo malgrado, si trova purtroppo a combattere con una malattia fortemente debilitante e invalidante. Considerando che per natura nessuno di noi è uguale all’altro e che le necessità del Paziente Oncologico sono sicuramente maggiori rispetto allo standard, in questi casi la personalizzazione delle cure diventa necessaria, se non addirittura indispensabile.
L’adattamento dell’azione professionale dell’operatore sanitario al fabbisogno soggettivo che la persona malata esprime come portatrice di necessità è assolutamente imprescindibile; non è dunque il paziente che può o deve adattarsi all’offerta sanitaria dell’infermiere preposto alla sua cura, ma il contrario. L’infermiere è, pertanto, chiamato a “modulare” l’intervento professionale in funzione della persona presa in carico.
L’infermiere in Oncologia in particolare riveste un ruolo fondamentale in tal senso; egli deve saper essere vicino al Paziente e comunicativo con quest’ultimo, senza pretendere di sfuggire alla realtà. L’atteggiamento dovrà essere empatico ed olistico, di partecipazione ai problemi del malato, mantenendo comunque sempre un giusto distacco emotivo. Egli dovrà individuare e valutare correttamente le risorse, i bisogni, i problemi psicofisici e sociali del malato, nonchè programmargli e garantirgli l’assistenza necessaria, oltre a eseguire con responsabilità e secondo la sua competenza le misure terapeutiche. Dovrà saper creare un clima consono a suddette misure e collaborare con i vari componenti dell’équipe, incrementando nel contempo la propria formazione.
Questi sono solo alcuni degli elementi che identificano e qualificano la professionalità dell’Infermiere che ben si adattano alle esigenze del Paziente Oncologico. In realtà per soddisfare questo ruolo occorre, oltre ad una solida preparazione di base, una formazione professionale specifica costante poiché dietro al ruolo stesso c’è l’individualità del Paziente inteso come essere umano, entità di per sé assolutamente primaria rispetto a tutto il resto. Questo rapporto di 1 a 1, abbinato alla “familiarità” del contesto in cui si svolge la terapia, determina e favorisce lo sviluppo di aspetti positivi nell’attività dell’infermiere, in quanto egli può così attuare e modulare verso ogni singolo Paziente un approccio alla situazione ed una gestione della stessa in maniera individuale e personalizzata senza mai dimenticare, allo stesso tempo, che tutto ciò comporta stati d’animo ed emozioni che richiedono nell’operatore sanitario una profonda presa di coscienza.
Per quanto riguarda i compiti che l'infermiere deve svolgere, essi sono molteplici ma possono essere racchiusi in tre tipologie di assistenza:
Assistenza Diretta - raccoglie l'assistenza erogata dall'infermiere al paziente al fine di soddisfare i bisogni primari e specifici di quest'ultimo.
Assistenza Routinaria - raccoglie le mansioni alberghiere di competenza infermieristica.
Assistenza Indiretta - raccoglie i compiti svolti dall'intero staff rivolti all'organizzazione e alla pianificazione del lavoro.
Il lavoro dell'infermiere oncologico si snoda immancabilmente attorno a questi tre momenti dell'assistenza; infatti l'operatore professionale deve racchiudere in sé e saper abbinare sia le capacità assistenziali che una spiccata conoscenza tecnica.
A tal proposito, conosciamo bene l'ansia dei malati che sono costretti a ricevere trattamenti chemioterapici; essi hanno fame di sapere, di essere informati e messi a conoscenza. L'operatore professionale deve perciò essere di supporto, parlando con il malato e cercando di rispondere alle domande in modo semplice, esaustivo e senza fretta, mettendolo al corrente dei possibili effetti collaterali e dei rimedi che si possono adottare.
A tal fine, pertanto, l’ Infermiere deve:
- Illustrare in modo comprensivo il programma terapeutico sia al malato che ai familiari.
- Aiutarlo psicologicamente a superare gli effetti collaterali (es. vomito, alopecia, anoressia, astenia).
- Istruirlo sui regimi alimentari e sui comportamenti da adottare per diminuire gli effetti sopra descritti.
- Aiutarlo nel mantenimento dell'igiene personale.
- Preparare e somministrare farmaci antiblastici e somministrazione dei presidi farmacologici atti alla prevenzione degli effetti collaterali.
- Osservare assiduamente i parametri del paziente e riferire al medico ogni loro variazione.
- Effettuare prelievi per i controlli ematochimici.
Dal punto di vista strettamente tecnico/pratico, particolare importanza nel Paziente Oncologico riveste la gestione degli accessi venosi; l’accesso venoso è una metodica atta ad infondere soluzioni acquose, cristalline, colloidi e/o emoderivati, attraverso un sistema venoso superficiale o profondo, periferico o centrale.
Per far questo bisogna conoscere i vari sistemi di accesso venoso, che nella fattispecie sono:
- Sistema venoso periferico.
- Sistema venoso centrale.
- catetere venoso centrale;
- catetere tunnellizzato;
- sistema totalmente impiantabile (port-a-cath).
- Sistema venoso periferico.
La sede migliore per l'infusione è l'avambraccio: in questa zona, in caso di stravaso, è minore il pericolo di danno funzionale in seguito a lesioni di nervi e tendini.
Le sedi preferenziali per la puntura venosa sono nell'ordine:
- l'avambraccio.
- il dorso della mano.
- il polso ( la sede più dolorosa ).
- la fossa ante cubitale.
- giugulare esterna.
Criteri di scelta della sede della venipuntura:
- evitare gli arti superiori che presentano danni al circolo linfatico.
- non utilizzare vene vicine a focolai di infezione.
- escludere vene infiammate, sclerotiche o fragili.
- evitare zone che siano state sedi di recenti test cutanei.
- escludere la piega del gomito; questa è la sede più pericolosa in quanto lo stravaso può essere parziale anche in presenza di reflusso ematico ed essere scoperto tardi, oltre al fatto che il danno alle strutture vascolari e tendinee sottostanti può facilmente esitare in lesioni gravissime, a volte irreversibili, della funzione dell'articolazione.
Criteri per la scelta dell'ago. Essa dipende:
- dalle indicazioni terapeutiche.
- dalle condizioni e dall'accessibilità delle vene del singolo paziente.
- dall'abilità tecnica dell'Infermiere con ciascun tipo di dispositivo intravenoso.
Per ridurre al minimo il trauma al paziente è bene usare, quando è possibile, l'ago di minor calibro. Usare l'ago cannula. Evitare il butterfly. Rimuovere l'ago dopo 72 ore.
Gestione dell’accesso periferico:
- scegliere accuratamente la sede d'infusione.
- accertarsi del corretto posizionamento dell'ago.
- iniettare 5 cc di soluzione fisiologica prima del farmaco.
- durante l'infusione aspirare e controllare la presenza di sangue.
- controllare la caduta libera e velocità.
- istruire il paziente affinchè informi in caso di bruciori, prurito, ecc. l'Infermiere.
Sistema venoso centrale
Catetere venoso centrale: è un catetere di varia lunghezza e struttura; viene introdotto attraverso una vena accessibile dalla superficie esterna del corpo e fatto avanzare nel letto venoso fino a raggiungere una delle grosse vene in prossimità del cuore:
- vena cava superiore,
- tronco brachio cefalico.
Le più comuni vie di accesso sono:
- vena giugulare interna destra o sinistra.
- vena succlavia destra o sinistra.
- vena femorale destra o sinistra.
Il posizionamento del catetere venoso centrale è necessario nel paziente per il quale l'accesso venoso periferico sia estremamente difficoltoso e che non abbia un’aspettativa di vita tale da giustificare un sistema più costoso ed invasivo. L'impianto deve essere effettuato prima dell'inizio della terapia antiblastica in modo da:
- prevenire i possibili danni ai vasi periferici.
- ridurre il rischio di stravaso.
- rendere la terapia meno traumatica per il paziente.
- deve essere rimosso dopo un massimo di 20 giorni.
- Catetere tunnellizzato: è un catetere venoso centrale, monolume o a doppio lume, con raccordo luer-lock all'estremità e una camicia in Dacron che viene posizionata nel tunnel sottocutaneo. Alcuni cateteri sono forniti di una valvola unidirezionale all'estremita distale tipo Groshong, che permette l'infusione, ma impedisce il reflusso di sangue all'interno della cannula.
Vantaggi:
- riduce al minimo la necessità di eparinizzazione.
- minimizza il rischio di fuoriuscita di sangue.
- evita l'ingresso di aria qualora il catetere venga lasciato aperto durante la manovra di connessione e deconnessione con i deflussori.
- può essere lasciato in sede fino a sei mesi.
Le più comuni vie di accesso sono:
- vena succlavia.
- vena giugulare interna.
Sistema totalmente impiantabile
E’ un accesso di infusione venoso, totalmente isolato dall'ambiente esterno, chiamato Port cath .
Caratteristiche:
- è impiantato in una tasca sottocutanea.
- è costituito da una capsula « port » di materiale plastico o al titanio.
- è dotato di una membrana centrale detta « setto » attraverso la quale si effettuano le infusioni e i prelievi.
- è collegato ad un catetere inserito in una vena centrale.
- è impiantato con procedura chirurgica.
- è collocato preferibilmente nella parte superiore del torace.
- la tasca viene posta nel sottocute del torace del paziente.
- si accede al sistema attraverso l'inserimento nella camera del port di un apposito ago (gripper).
Gestione accesso centrale:
- la gestione delle manovre in sterilità, osservate durante la fase del posizionamento, deve essere mantenuta anche in seguito.
- il punto d'introduzione deve essere regolarmente disinfettato, per evitare le infezioni batteriche.
- la medicazione deve essere cambiata ogni 48 ore in asepsi chirurgica.
- ogni iniezione nelle vie di perfusione deve essere accompagnata dalle stesse precauzioni, Prima di iniziare la terapia:
- accertarsi che il catetere sia pervio, aspirando 5 cc di sangue.
- iniettare soluzione fisiologica per il lavaggio della via del catetere.
- al termine dell'infusione della terapia effettuare il lavaggio con 20 cc di soluzione fisiologica.
- eparinare la via iniettando 3 cc di soluzione eparinata, usando 4,5 cc di soluzione fisiologica + O,5 di eparina (pari a 2500 U.I.).
Il sistema “port cath” è sicuramente quello più indicato al Paziente Oncologico; la grande quantità di soluzioni farmacologiche che devono essere infuse al paziente, infatti, porterebbero le vene impiegate ad uno stress notevole arrivando al deterioramento delle stesse, senza considerare che i continui prelievi per controlli ematochimici costringerebbero il paziente stesso a sofferenze tranquillamente evitabili.
CONCLUSIONI
Perseguire e, soprattutto, raggiungere gli obiettivi che un’assistenza infermieristica a 360 ° si prefissa, significa aver dedicato al Paziente il massimo delle risorse personali ( umane e professionali ) proprie e di tutta l’equipe, nonché ottenere la intima consapevolezza e la profonda soddisfazione scaturite dall’aver assistito in maniera piena e costante la persona malata in tutta la sua sfera sia fisica, ma anche psicologica, morale e affettiva.
BIBLIOGRAFIA
• Lokich J., Bothe A., Benotti P. e coll.: Complications and marZagement of implanted venous acces catheters. J. Clin. Oncol. 3: 710-717, 1985.
• Raaf J.H.: Result from use of 826 vascular access derices in cancer
SITOGRAFIA
www.ipasvi.roma.it