Gentile Sig.ra Federica,
in una forma neoplastica diffusa la popolazione di cellule tumorali è per definizione eterogenea e può accadere che nel breve o lungo termine il farmaco antiblastico che si impiega ceda il passo alla resistenza. Alcuni cloni cellulari difatti acquisiscono il modo di crescere e diffondere a prescindere dal trattamento. Nella condizione specifica mi par di comprendere che parliamo di una progressione solo a livello osseo. Se così fosse si potrebbe teorizzare che l'erlotinib (Tarceva) ha perso il controllo di una popolazione cellulare che ha affinità elettiva per l'osso. Seguendo questo ragionamento può aver senso proseguire Tarceva ed affidarsi ad acido zoledronico (Zometa) o denosumab (Xgeva) per tentare il controllo della malattia scheletrica. Entrambi i preparati che si possono impiegare in ambito scheletrico sono ahimè gravati dalla teorica (bassa) possibilità di osteonecrosi dell'osso mandibolare. Tale rischio (ripeto, di per se comunque basso) può essere ridotto con una corretta igiene del cavo orale, con l'evitare implantologia od interventi sui denti nel periodo di somministrazione, con una RX ortopanoramica di controllo preventiva e periodica. Come giustamente si sottolinea è sempre un rapporto rischio/beneficio; ed in caso di patologia scheletrica da k polmonare (e verosimile diffusione seppur microscopica, oltre che macroscopica, nello scheletro (le metodiche di imaging che abbiamo a disposizione non consentono di vedere lesioni nepplastiche sotto i 3 mm di dimensione))il rapporto a mio avviso (se vi sono le condizioni di cui parlavo in precedenza) propende per il beneficio. Acido zoledronico o denosumab (in modo pressocchè equivalente) hanno dimostrato attività antineoplastica specifica in ambiente scheletrico, proprietà di consolidamento dell'osso, effetto antalgico, riduzione di eventuale ipercalcemia. Per quanto riguarda una terapia di supporto immunologico è per me opera quotidiana attraverso la fitoterapia oncologica e l'ipertermia. L'ipertermia oncologica potrebbe essere impiegata nella condizione specifica in senso proapoptotico, coadiuvante sinergico rispetto ad erlotinib (ho avuto esperienze positive in proposito), immunomodulante, antalgico, liberante endorfine. Ovviamente la Paziente deve essere nella condizione di idoneità per il trattamento (non pacemaker e/o defibrillatore impiantato, non voluminose placche metalliche o stent metallici nell'area da trattare, non cateteri metallici di analgesia impiantati a livello midollare, non versamento pleurico od ascitico (queste ultime due sono controindicazioni relative e non assolute in quanto si potrebbe procedere eventualmente drenando il/i versamento/i). Ben si è infine fatto a procedere intanto con radioterapia locoregionale per arginare il processo ed, immagino, per recare analgesia.
Cari saluti
Prof. Carlo Pastore, oncologo -
www.ipertermiaitalia.it